
Il trasferimento comporta la definita dislocazione del lavoratore da una unità produttiva/operativa ad un’altra e rientra nel normale esercizio del potere direttivo del datore di lavoro.
Cos’è il trasferimento e chi può disporlo?
Può essere attuato su base volontaria o in presenza di comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive (onere della prova a carico del datore di lavoro).
Secondo un chiarimento fornito dalla Corte di Cassazione (sentenza n. 21037/2006), il trasferimento non sorretto dalle ragioni tecniche, organizzative e produttive è nullo.
Quando il trasferimento è legittimo?
Riepilogando, affinché il trasferimento sia legittimo, il datore di lavoro deve dimostrare:
- l’inutilità del dipendente nella sede di provenienza;
- la serietà delle ragioni che hanno fatto cadere la scelta proprio su quel dipendente e non su altri colleghi che svolgano analoghe mansioni;
- la necessità della presenza di quel dipendente, con la sua particolare professionalità, nella sede di destinazione.
Il rifiuto del lavoratore è sempre sanzionabile?
No. Se il lavoratore rifiuta il trasferimento senza un motivo oggettivo, può andare incontro a un procedimento disciplinare. Tuttavia, esistono specifici casi in cui il rifiuto è legittimo, tra cui:
- sia disabile in situazione di gravità (art. 33, comma 5, Legge n. 104/1992),
- assista con continuità un familiare (coniuge, parente o affine entro il secondo grado) convivente con disabilità grave (art. 33, comma 5, Legge n. 104/1992),
- sia un dirigente di una RSA – Rappresentanza Sindacale Aziendale (art. 22, Legge 300/1970),
- Sia stato eletto membro di consiglio comunale, provinciale e di altro ente territoriale durante l’esercizio del mandato consiliare.
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