
di Marco Pugliese
Aiuti di Stato e caro energia: Berlino riscrive le regole mentre l’Italia resta spettatrice
Nel cuore dell’Europa, mentre si alzano polveroni mediatici sul Green Deal e sul prezzo dell’energia, la Germania prende in mano la penna e riscrive, di fatto, le regole del mercato unico. Con 356 miliardi di euro di aiuti di Stato approvati dal marzo 2022, Berlino ha armato un vero e proprio “bazooka industriale” sotto lo sguardo distratto – o connivente – di Bruxelles. Parigi segue a distanza, ma non troppo: 162 miliardi di euro. L’Italia? Si ferma a 51 miliardi, meno di un sesto rispetto alla Germania, e poco più della somma di Danimarca (24 mld) e Finlandia (18 mld).
Questi numeri non sono semplici grafici, ma la rappresentazione plastica di un’Europa a doppia corsia: chi può spendere lo fa, chi non può viene lasciato indietro. Mentre in Italia si dibatte su tagli minimi alle accise e si annuncia qualche bonus a pioggia, in Germania si progettano tariffe energetiche industriali su misura e si autorizzano centrali a gas per bilanciare l’intermittenza delle rinnovabili. È il corrispettivo economico di una maratona in cui alcuni atleti partono in bicicletta, altri a piedi nudi.
Confindustria lancia l’allarme: rincari del gas del 35%, imprese a rischio delocalizzazione. La Cgia di Mestre calcola un extracosto di 4 miliardi per il tessuto produttivo italiano. Intanto, da Bruxelles, la Commissione UE promette meccanismi di solidarietà e incontri straordinari. Ma è un po’ come offrire un giubbotto salvagente sgonfio a chi sta già affondando.
Come presidente di Openindustria non posso nascondere una crescente preoccupazione: in Italia nessuno sembra rendersi conto della portata reale del problema. Mentre Berlino e Parigi costruiscono le condizioni per attrarre investimenti, trattenere imprese e difendere l’occupazione con strumenti pubblici, noi ci perdiamo in misure tampone prive di visione industriale. È come osservare un incendio attraverso il buco della serratura e commentare il colore del fumo.
Stiamo assistendo a uno squilibrio sistemico all’interno del mercato europeo che rischia di diventare strutturale. Le imprese italiane, soprattutto le PMI, si trovano a competere in un’Unione dove il sostegno pubblico non è più l’eccezione, ma la regola. E in questo nuovo scenario, chi non dispone di potenza fiscale, viene semplicemente tagliato fuori.
Se l’Italia non reagisce subito con un piano industriale di pari ambizione, il rischio è che il cuore manifatturiero del Paese venga svuotato. Serve una presa di coscienza urgente, a tutti i livelli: politico, imprenditoriale e sociale. Non stiamo vivendo una crisi. Stiamo vivendo una mutazione. E chi non si adatta, scompare.
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