
Il calo dello spread tra Btp italiani e Bund tedeschi a quota 100 punti base potrebbe tradursi in un risparmio di almeno 3,5 miliardi di euro per le casse dello Stato tra il 2025 e il 2026: un beneficio che potrebbe arrivare fino a 10 miliardi nel biennio. La discesa del differenziale ai livelli minimi degli ultimi anni consente di tagliare sensibilmente gli interessi da riconoscere ai sottoscrittori di titoli pubblici. Considerando che ogni anno il Tesoro rinnova circa 350 miliardi di euro di debito, la riduzione di 50 punti base rispetto alla media del 2023 (quando lo spread era a 150) garantirebbe un risparmio di almeno 1,75 miliardi l’anno, per un totale che varia da 3,5 miliardi a 10 miliardi nel biennio. È quanto emerge da un’analisi del Centro studi di Unimpresa, secondo cui il contesto favorevole potrebbe inoltre rafforzare la credibilità del Paese sui mercati e alleggerire la pressione sulla legge di bilancio 2025, attesa per l’autunno. «Si tratta di un’occasione storica per rendere più sostenibile il debito pubblico italiano e liberare risorse preziose per investimenti, riduzione fiscale o spesa sociale. Il risparmio per lo Stato non è solo contabile, ma può avere riflessi significativi anche in chiave politica. Liberare miliardi di euro dal servizio del debito significa disporre di nuove risorse da destinare, ad esempio, alla riduzione delle tasse, al sostegno agli investimenti o al potenziamento della spesa sociale. In un contesto in cui le regole europee sui conti pubblici stanno tornando progressivamente in vigore e l’Italia deve mantenere il deficit sotto controllo, ogni punto base di risparmio conta. Non va poi sottovalutato un ulteriore aspetto: il calo dello spread rafforza l’immagine di stabilità del Paese e migliora il posizionamento dell’Italia sui mercati internazionali. È anche un segnale indiretto di fiducia nelle prospettive economiche e nella tenuta della politica fiscale. Molto dipenderà, nei prossimi mesi, dalle scelte della Banca centrale europea sui tassi d’interesse e dal contesto politico interno» sottolinea il vicepresidente di Unimpresa, Giuseppe Spadafora.
Secondo il Centro studi di Unimpresa, il calo dello spread tra BTP italiani e Bund tedeschi a quota 100 punti base rappresenta un segnale estremamente positivo per i conti pubblici del nostro Paese. Si tratta del livello più basso registrato negli ultimi anni e indica che i mercati percepiscono l’Italia come un emittente meno rischioso rispetto al passato. In altri termini, il Tesoro italiano potrà collocare i suoi titoli a condizioni più favorevoli, riconoscendo tassi di interesse più contenuti agli investitori. Ne deriveranno benefici in termini di minor costo per il servizio del debito a carico del bilancio pubblico. Secondo le stime contenute nell’ultimo Documento di economia e finanza, la spesa per interessi nel 2024 è prevista intorno agli 83 miliardi di euro. Lo stock complessivo di debito pubblico è pari a circa 2.870 miliardi di euro e ogni anno il Tesoro rinnova – tramite nuove aste – circa il 25% di questo totale. Si tratta dunque di circa 700 miliardi di titoli da rinnovare nel biennio 2025-2026, all’incirca 350 miliardi l’anno. È su questo ammontare che si può stimare l’impatto della riduzione dello spread.
Ipotizziamo uno scenario di confronto in cui lo spread medio annuo tra BTP e Bund scende da 150 a 100 punti base: una riduzione di mezzo punto percentuale (0,5%). Tale calo, applicato ai 350 miliardi di titoli da collocare ogni anno, equivale a un risparmio potenziale di circa 1,75 miliardi di euro annui, dovuto alla minore cedola da corrispondere agli investitori. Su due anni, il risparmio cumulato salirebbe dunque a 3,5 miliardi di euro. Si tratta, naturalmente, di una stima prudenziale. Il beneficio effettivo potrebbe essere persino superiore, se si considera che in ogni esercizio lo Stato non solo rinnova titoli in scadenza, ma emette anche nuovo debito per finanziare il deficit. Anche su queste nuove emissioni, un livello contenuto di spread si traduce in costi più bassi. Inoltre, il calo dello spread incide non solo sulle emissioni a lungo termine (come i BTP decennali), ma anche – seppur in misura minore – su titoli a breve scadenza come BOT e BTP a 3 o 5 anni.
Se allarghiamo l’analisi e consideriamo un contesto più ampio e realistico, il vantaggio per lo Stato italiano derivante dal calo dello spread a 100 punti base potrebbe essere ben superiore a 3,5 miliardi. La discesa del differenziale tra Btp e Bund non riguarda solo i titoli a 10 anni, ma tende a riflettersi su tutta la curva dei rendimenti: dai titoli a 3, 5 e 7 anni, fino ai Btp più lunghi. A questo si aggiunge un altro fattore rilevante: ogni anno il Tesoro non si limita a rifinanziare il debito in scadenza, ma emette anche nuovo debito per coprire il disavanzo pubblico. Se si tiene conto anche di queste nuove emissioni nette, il volume complessivo di titoli che lo Stato italiano dovrà collocare sul mercato nel biennio 2025-2026 potrebbe arrivare a circa 850 miliardi di euro: 700 miliardi per il rinnovo di titoli in scadenza e almeno 150 miliardi per finanziare il deficit, ipotizzando un disavanzo annuo di circa 75 miliardi. Applicando a questo importo una riduzione media dei rendimenti di circa 60-70 punti base – coerente con il miglioramento delle condizioni di mercato e l’attesa di tagli ai tassi da parte della Banca centrale europea – si ottiene un risparmio teorico di oltre 5 miliardi di euro l’anno.
Il restringimento dello spread riflette una maggiore fiducia degli investitori nella stabilità economica e politica dell’Italia. Ciò si traduce in una percezione di rischio più bassa, facilitando l’accesso ai mercati finanziari e potenzialmente migliorando il rating creditizio del Paese. Un rating più elevato può ulteriormente ridurre i costi di finanziamento e attrarre investimenti esteri. Le banche italiane, detentrici di un ampio portafoglio di titoli di Stato, beneficiano dell’aumento del valore dei BTP esistenti in caso di calo dello spread. Prospettiva che rafforza la solidità patrimoniale degli istituti di credito, migliorando la loro capacità di erogare prestiti a famiglie e imprese e sostenendo la crescita economica.
Il calo dello spread tra Btp italiani e Bund tedeschi a quota 100 punti base potrebbe tradursi in un risparmio di almeno 3,5 miliardi di euro per le casse dello Stato tra il 2025 e il 2026: un beneficio che potrebbe arrivare fino a 10 miliardi nel biennio. La discesa del differenziale ai livelli minimi degli ultimi anni consente di tagliare sensibilmente gli interessi da riconoscere ai sottoscrittori di titoli pubblici. Considerando che ogni anno il Tesoro rinnova circa 350 miliardi di euro di debito, la riduzione di 50 punti base rispetto alla media del 2023 (quando lo spread era a 150) garantirebbe un risparmio di almeno 1,75 miliardi l’anno, per un totale che varia da 3,5 miliardi a 10 miliardi nel biennio. È quanto emerge da un’analisi del Centro studi di Unimpresa, secondo cui il contesto favorevole potrebbe inoltre rafforzare la credibilità del Paese sui mercati e alleggerire la pressione sulla legge di bilancio 2025, attesa per l’autunno. «Si tratta di un’occasione storica per rendere più sostenibile il debito pubblico italiano e liberare risorse preziose per investimenti, riduzione fiscale o spesa sociale. Il risparmio per lo Stato non è solo contabile, ma può avere riflessi significativi anche in chiave politica. Liberare miliardi di euro dal servizio del debito significa disporre di nuove risorse da destinare, ad esempio, alla riduzione delle tasse, al sostegno agli investimenti o al potenziamento della spesa sociale. In un contesto in cui le regole europee sui conti pubblici stanno tornando progressivamente in vigore e l’Italia deve mantenere il deficit sotto controllo, ogni punto base di risparmio conta. Non va poi sottovalutato un ulteriore aspetto: il calo dello spread rafforza l’immagine di stabilità del Paese e migliora il posizionamento dell’Italia sui mercati internazionali. È anche un segnale indiretto di fiducia nelle prospettive economiche e nella tenuta della politica fiscale. Molto dipenderà, nei prossimi mesi, dalle scelte della Banca centrale europea sui tassi d’interesse e dal contesto politico interno» sottolinea il vicepresidente di Unimpresa, Giuseppe Spadafora.
Secondo il Centro studi di Unimpresa, il calo dello spread tra BTP italiani e Bund tedeschi a quota 100 punti base rappresenta un segnale estremamente positivo per i conti pubblici del nostro Paese. Si tratta del livello più basso registrato negli ultimi anni e indica che i mercati percepiscono l’Italia come un emittente meno rischioso rispetto al passato. In altri termini, il Tesoro italiano potrà collocare i suoi titoli a condizioni più favorevoli, riconoscendo tassi di interesse più contenuti agli investitori. Ne deriveranno benefici in termini di minor costo per il servizio del debito a carico del bilancio pubblico. Secondo le stime contenute nell’ultimo Documento di economia e finanza, la spesa per interessi nel 2024 è prevista intorno agli 83 miliardi di euro. Lo stock complessivo di debito pubblico è pari a circa 2.870 miliardi di euro e ogni anno il Tesoro rinnova – tramite nuove aste – circa il 25% di questo totale. Si tratta dunque di circa 700 miliardi di titoli da rinnovare nel biennio 2025-2026, all’incirca 350 miliardi l’anno. È su questo ammontare che si può stimare l’impatto della riduzione dello spread.
Ipotizziamo uno scenario di confronto in cui lo spread medio annuo tra BTP e Bund scende da 150 a 100 punti base: una riduzione di mezzo punto percentuale (0,5%). Tale calo, applicato ai 350 miliardi di titoli da collocare ogni anno, equivale a un risparmio potenziale di circa 1,75 miliardi di euro annui, dovuto alla minore cedola da corrispondere agli investitori. Su due anni, il risparmio cumulato salirebbe dunque a 3,5 miliardi di euro. Si tratta, naturalmente, di una stima prudenziale. Il beneficio effettivo potrebbe essere persino superiore, se si considera che in ogni esercizio lo Stato non solo rinnova titoli in scadenza, ma emette anche nuovo debito per finanziare il deficit. Anche su queste nuove emissioni, un livello contenuto di spread si traduce in costi più bassi. Inoltre, il calo dello spread incide non solo sulle emissioni a lungo termine (come i BTP decennali), ma anche – seppur in misura minore – su titoli a breve scadenza come BOT e BTP a 3 o 5 anni.
Se allarghiamo l’analisi e consideriamo un contesto più ampio e realistico, il vantaggio per lo Stato italiano derivante dal calo dello spread a 100 punti base potrebbe essere ben superiore a 3,5 miliardi. La discesa del differenziale tra Btp e Bund non riguarda solo i titoli a 10 anni, ma tende a riflettersi su tutta la curva dei rendimenti: dai titoli a 3, 5 e 7 anni, fino ai Btp più lunghi. A questo si aggiunge un altro fattore rilevante: ogni anno il Tesoro non si limita a rifinanziare il debito in scadenza, ma emette anche nuovo debito per coprire il disavanzo pubblico. Se si tiene conto anche di queste nuove emissioni nette, il volume complessivo di titoli che lo Stato italiano dovrà collocare sul mercato nel biennio 2025-2026 potrebbe arrivare a circa 850 miliardi di euro: 700 miliardi per il rinnovo di titoli in scadenza e almeno 150 miliardi per finanziare il deficit, ipotizzando un disavanzo annuo di circa 75 miliardi. Applicando a questo importo una riduzione media dei rendimenti di circa 60-70 punti base – coerente con il miglioramento delle condizioni di mercato e l’attesa di tagli ai tassi da parte della Banca centrale europea – si ottiene un risparmio teorico di oltre 5 miliardi di euro l’anno.
Il restringimento dello spread riflette una maggiore fiducia degli investitori nella stabilità economica e politica dell’Italia. Ciò si traduce in una percezione di rischio più bassa, facilitando l’accesso ai mercati finanziari e potenzialmente migliorando il rating creditizio del Paese. Un rating più elevato può ulteriormente ridurre i costi di finanziamento e attrarre investimenti esteri. Le banche italiane, detentrici di un ampio portafoglio di titoli di Stato, beneficiano dell’aumento del valore dei BTP esistenti in caso di calo dello spread. Prospettiva che rafforza la solidità patrimoniale degli istituti di credito, migliorando la loro capacità di erogare prestiti a famiglie e imprese e sostenendo la crescita economica.
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