12 Maggio 2025
La farmaceutica svizzera sotto pressione per i dazi statunitensi




I prodotti farmaceutici sono la principale esportazione della Svizzera.


Keystone / Gaetan Bally

I dazi sui farmaci minacciati dagli Stati Uniti rischiano di danneggiare pazienti e industria, e potrebbero anche mettere in discussione lo status quo di poli consolidati come la Svizzera, mentre gli investimenti si spostano oltreoceano.

Nelle ultime settimane i giganti farmaceutici svizzeri Roche e Novartis hanno annunciato investimenti da miliardi di dollari negli Stati Uniti. I dazi minacciati dal presidente americano Donald Trump non sono stati menzionati esplicitamente dalle due compagnie, che hanno invece sottolineato il loro impegno di lunga data verso il mercato statunitense.

Ma i dazi restano l’elefante nella stanza. Secondo alcuni espertiCollegamento esterno, con questi investimenti le compagnie sperano di dissuadere Trump dall’introdurre nuove tasse sulle importazioni di prodotti farmaceutici.

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Il 1° aprile l’amministrazione statunitense ha avviato un’indagine sulle importazioni di farmaci e semiconduttori per valutarne l’impatto sulla “sicurezza nazionale”. Secondo il Wall Street JournalCollegamento esterno, l’indagine potrebbe portare all’imposizione di dazi fino al 25% sui farmaci, sui loro ingredienti e sui prodotti derivati, già a partire da metà maggio. Questo nonostante l’Organizzazione Mondiale del Commercio – di cui gli Stati Uniti sono membri, anche se Trump ha minacciato di uscirne – consideri i prodotti farmaceutici esenti da dazi.

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I medicinali sono tra i pochi prodotti esclusi dai dazi annunciati il 2 aprile, attualmente sospesi per 90 giorni per tutti i 57 Paesi colpiti, a eccezione della Cina. Se la sospensione venisse revocata, gli Stati Uniti applicheranno dazi del 31% sulle importazioni provenienti dalla Svizzera. Alcuni funzionari del governo elvetico si sono recentemente recati a Washington nel tentativo di negoziare con l’amministrazione Trump.

L’introduzione di dazi sui farmaci potrebbe infliggere un duro colpo all’industria farmaceutica svizzera. Gli Stati Uniti rappresentano una parte significativa del fatturato globale di Roche (poco più del 50%) e Novartis (circa il 40%).

I medicinali costituiscono inoltre il settore più rilevante dell’export svizzero, con una quota del 40%. Di queste esportazioni, oltre il 60% è destinato agli Stati Uniti.

Nel 2024 il valore complessivo delle esportazioni farmaceutiche Collegamento esternoverso gli USA è stato di circa 35 miliardi di dollari (29 miliardi di franchi). Se venisse applicato il dazio massimo del 25%, il costo stimato per le farmaceutiche svizzere sarebbe di circa 8,75 miliardi di dollari (7,23 miliardi di franchi).

Come reagire al rischio di dazi

Visto il possibile costo dei dazi, le aziende farmaceutiche stanno cercando un modo per aggirarli. L’opzione più ovvia è aumentare la produzione negli Stati Uniti, una strategia che alcune compagnie, come Roche, possono già adottare sfruttando gli impianti esistenti sul territorio americano. Durante la conferenza del 24 aprile sui risultati del primo trimestre, il CEO di Roche Thomas Schinecker ha dichiarato alla stampa che quattro farmaci del portafoglio aziendale – di cui non ha voluto rivelare i nomi – rappresentano il 92% dell’esposizione della compagnia ai dazi.

La produzione negli Stati Uniti è già sufficiente per tre di questi medicinali, e l’azienda ha iniziato a trasferire oltreoceano la tecnologia necessaria per il quarto, che finora non era mai stato prodotto nel Paese.

Attualmente Roche utilizza solo il 50% della propria capacità produttiva negli Stati Uniti, il che, ha spiegato Schinecker, “ci offre ampio margine per aumentare la produzione in loco”.

Per le aziende con una produzione più decentralizzata e globalizzata rispetto a Roche, evitare i dazi sarà probabilmente più costoso e complicato.

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“Nel breve termine è quasi impossibile spostare un sito produttivo – ci vogliono almeno cinque-dieci anni per ottenere le approvazioni necessarie, costruire un impianto e garantire la qualità del processo”, ha affermato René Buholzer, CEO di Interpharma, l’associazione dell’industria farmaceutica svizzera.

Novartis non ha risposto alla richiesta di informazioni sulle misure che sta adottando per mitigare l’effetto dei dazi. In una email a SWI un portavoce dell’azienda ha dichiarato che “l’investimento pianificato dimostra chiaramente il nostro continuo interesse verso gli Stati Uniti”.

I recenti annunci di investimento da parte di Roche, Novartis e di altri grandi gruppi farmaceuticiCollegamento esterno indicano che le aziende stanno pianificando dove localizzare la produzione dei farmaci futuri in base a numerosi fattori, tra cui questioni geopolitiche e di sicurezza nazionale.

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L’investimento da 23 miliardi di dollari (19 miliardi di franchi) annunciato da Novartis a inizio aprile prevede la creazione di due poli di ricerca, quattro impianti di produzione e 1’000 nuovi posti di lavoro, così che “tutti i principali farmaci Novartis destinati ai pazienti statunitensi saranno prodotti negli Stati Uniti”.

Anche Roche, che già impiega 25’000 lavoratori in 24 siti sul territorio americano, ha recentemente annunciato un investimento negli Stati Uniti da 50 miliardi di dollari (41,3 miliardi di franchi) L’azienda non ha specificato le tempistiche, ma ha dichiarato che, una volta attivate le nuove capacità produttive, potrà “esportare più medicinali dagli Stati Uniti di quanti ne importi”.

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Concorrenza crescente

Gli investimenti del settore farmaceutico negli Stati Uniti mettono la Svizzera in una posizione delicata. Come riportatoCollegamento esterno dal Tages-Anzeiger il 23 aprile, il governo svizzero vuole dimostrare a Trump che si sta adoperando per attenuare lo squilibrio commerciale con gli Stati Uniti.

D’altro canto, i nuovi investimenti all’estero alimentano i timori sulla capacità della Svizzera di restare attrattiva per la farmaceutica, un campo in cui il piccolo Paese eccelle. Il settore farmaceutico supera persino quello bancario in termini di contributo al PIL, e nel 2022 impiegava circa 50’000 persone, pari al 5,4% della forza lavoro svizzera.

Ma con poco più di nove milioni di abitanti, il mercato svizzero è limitato – uno svantaggio in un momento in cui le aziende tendono a localizzare la produzione vicino ai clienti finali.

“Negli ultimi anni la nostra strategia è stata proprio quella di rafforzare la presenza produttiva in tutti i mercati più importanti”, ha spiegato Schinecker. “In molti di questi Paesi, compresa la Cina, avere una presenza e una produzione locale è diventato un requisito per accedere al mercato”.

Sia Roche che Novartis hanno investito molto in Cina, puntando su ricerca, produzione e collaborazioni locali. Roche negli ultimi due anni ha firmato due accordiCollegamento esterno di licenza con aziende biotech cinesi per un valore complessivo di circa 1 miliardo di dollari.

Entrambe le compagnie hanno recentemente destinato nuove risorse anche alla Svizzera, ma si tratta di cifre ben lontane dai 73 miliardi di dollari complessivi (64,6 miliardi di franchi) investiti negli Stati Uniti – uno dei maggiori investimenti farmaceutici realizzati in un singolo Paese nell’ultimo decennio.

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“Ogni dieci anni [in questo settore] è tempo di grandi investimenti – la vera domanda è: dove vengono indirizzati? E sempre più spesso la risposta non è la Svizzera, non più”, ha commentato Buholzer a proposito della strategia delle due aziende.

Rimanere attrattivi

Di fronte alla minaccia dei dazi le aziende chiedono ai governi europei, incluso quello svizzero, di rafforzare gli incentivi per mantenerle sul loro territorio.

Questa settimana i CEO di Novartis e della francese Sanofi hanno firmato una lettera pubblicataCollegamento esterno sul Financial Times in cui invitano Bruxelles a “fare la cosa giusta” per attrarre nuovi investimenti nel settore farmaceutico. “In un contesto di competitività in declino per la biofarmaceutica europea, l’incertezza dei dazi riduce ulteriormente gli incentivi a investire nell’UE”, hanno scritto.

Le aziende farmaceutiche sostengono da anni che la crescente pressione per abbassare i prezzi dei medicinali, i ritardi nelle approvazioni e le normative sempre più stringenti stiano rendendo l’UE meno competitiva. Tra il 2010 e il 2022, la spesa europea in ricerca e sviluppo farmaceutico è cresciuta a un tasso medio annuo del 4,4%, passando da 27,8 miliardi di euro (26,1 miliardi di franchi) a 46,2 miliardi. Nello stesso periodo la spesa statunitense è aumentata a un tasso medio annuo del 5,5%, mentre quella cinese (che però partiva da livelli molto più bassi) è cresciuta del 20,7%.

Anche secondo Schinecker in Europa “c’è troppa burocrazia” e questo frena la crescita economica. Secondo lui, è necessario investire in “settori strategici e del futuro” come la farmaceutica, cosa che Stati Uniti e Cina avrebbero già capito.

Secondo il CEO di Interpharma, i dazi sono dannosi per il settore, ma questo momento di svolta può rappresentare un’opportunità per ottenere condizioni migliori in Svizzera.

“Molti Paesi stanno attivamente cercando di diventare più attrattivi come location per le bioscienze”, ha dichiarato Buholzer, riferendosi ai colloquiCollegamento esterno di inizio aprile tra i gruppi di lobby farmaceutici e biotecnologici europei e la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen. Secondo lui, la Svizzera “deve sviluppare una strategia chiara” per il settore, soprattutto in un momento come questo.

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“I dazi di Trump danneggiano sia i pazienti sia l’industria”, ha affermato, “ma stanno anche accelerando il trasferimento degli investimenti dall’Europa agli Stati Uniti”.

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Articolo a cura di Veronica DeVore/ac

Tradotto da Vittoria Vardanega

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